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    Passione paesaggio: il verde è terapeutico

    I panorami e la natura non sono solo vedute da ammirare, ma bisogna interagire e trovare il nostro modo di assaporarli lentamente.

    Gaia Zadra è ideatrice e organizzatrice del Festival del verde e del paesaggio di Roma che ha ormai più di 10 anni di storia. Cittadina del mondo fin da piccola, ha vissuto in Giappone, Iran, Australia, Albania. Ha scoperto tardi la sua passione, personale e professionale, per il paesaggio (è laureata in storia delle religioni), ma questo non le ha impedito di creare un festival diventato ormai punto di riferimento per appassionati, neofiti e vivaisti. Paesaggi e giardini sono per lei un mondo in cui immergersi e interagire, non solo immagini bucoliche da ammirare, e a volte possono essere persino terapeutici. 

    Come mai hai vissuto in tanti Paesi così lontani?

    Da bambina seguivamo papà, che lavorava per Alitalia. Abbiamo vissuto a Tokyo e questo credo mi abbia dato una grande apertura verso tutto ciò che non conosco e verso le diversità culturali. Da adulta, con mio marito diplomatico, ci siamo spostati tra Iran, Australia e Albania. In questi anni sono nate le mie figlie, mentre mi occupavo di organizzare eventi di rappresentanza e davo supporto alle pubbliche relazioni del lavoro di mio marito. 

    Come è nata la passione per il verde?

    In realtà tardi, quando dopo 15 anni sono rientrata a Roma e ho acquistato una casa con un grande terrazzo. Avevo chiamato una professionista per aiutarmi a sistemarlo e così ho scoperto un mondo a me sconosciuto: quello degli appassionati che ruotano attorno all'universo delle piante, che si muovono per seguire gli eventi, che sanno tutto di semi e talee. Una passione che unisce persone molto diverse tra di loro, che si incontrano grazie all'amore per il verde.

    E da questo è nato il Festival del verde e del paesaggio?
    Avevo iniziato a collaborare con un'agenzia di eventi e proposi di mettere in piedi una manifestazione dedicata alle piante a Roma, perché non esisteva. L'Auditorium Parco della Musica era un posto perfetto, l'unico giardino contemporaneo della città, un luogo di cultura e con un bellissimo parco pensile. Non cercavo di creare un'atmosfera romantica legata al verde bucolico ma un vero evento di celebrazione e divulgazione del verde urbano.

    C'è qualcuno che ha plasmato il tuo rapporto con il paesaggio?
    Ho avuto il supporto fondamentale del grande architetto Franco Zagari, che mi ha aiutata a capire cosa si intende per paesaggio e come interviene nelle nostre vite. Non è solo qualcosa da ammirare, ma vive in un contesto di relazioni umane, rappresenta valori culturali, sociali ed estetici. 

    Qual è un'installazione del festival è riuscita a trasmettere questi concetti?
    Sicuramente quella dell’Austria del 2019: per promuovere il turismo hanno portato a Roma un pezzo dei loro boschi dentro una mini navicella ideata da alcuni designer ed era come entrare in un bosco sulle montagne austriache. Riprendeva il concetto del loro padiglione di Expo 2015 e l'ho trovata un'idea originale e intelligente.

    Hai qualche consiglio sui giardini italiani da visitare?
    Sono davvero molti. Se si viaggia in auto consiglio di tenere con sé L’Italia dei giardini, la guida pubblicata dal Touring Club in collaborazione con l’APGI (Associazione Parchi e Giardini d’Italia), perché magari ne trovate uno per fare una tappa prima di arrivare a destinazione. Per le famiglie segnalerei quello di Collodi a Villa Garzoni a Pescia, provincia di Pistoia, il giardino dei tarocchi a Capalbio, il parco dei mostri di Bomarzo, in provincia di Viterbo. Oppure il divertente e simbolico labirinto di bambù di Franco Maria Ricci a Fontanellato, provincia di Parma.

    Quali sono i paesaggi che ti sono rimasti impressi dei Paesi dove hai vissuto?
    Quando si atterrava in Albania negli anni 90 ricordo che si vedevano questi grandi covoni di fieno con il palo in mezzo accanto ai bunker in cemento armato. In Iran ricordo un viaggio in auto da Teheran a Bandar Abbas e le immagini delle donne in chador che raccoglievano i petali di rosa nelle coltivazioni in mezzo al deserto. In Australia il cielo mi sembrava più grande, un effetto strano, anche se sicuramente rimane la terra con la natura più difficile che abbia visto, a tratti quasi minacciosa. E del periodo in Giappone mi è rimasta impressa la punta innevata del monte Fuji che spuntava dalla nebbiolina.

    Nel 2020 il festival è stato solo virtuale, quali sono i prossimi obiettivi?
    Vorremmo continuare a promuovere un contatto non mediato uomo-mondo vegetale. Per esempio, anche i corsi della Scuola del verde diventeranno sempre più orientati non tanto al giardinaggio di per sé ma proprio a come portare il verde all'interno delle nostre vite e delle nostre case, anche quando non si ha uno spazio esterno a disposizione.

    Un paesaggio che devi ancora vedere?
    Conosco poco l'Europa del Nord, vorrei andare in Scandinavia o Islanda, o fare un viaggio in treno in Russia. Anche l'Austria non mi è familiare e so di averne un’idea molto stereotipata, mentre Vienna è una città dinamica e vivace, che oggi danza ben oltre il ritmo del valzer. In ogni caso, voglio viaggiare in modo lento, scegliendo un piccolo pezzo di un Paese e visitarlo bene, senza girare come una trottola con gli aerei. Dopo tanto peregrinare ho capito che solo così mi sento veramente appagata.


    Intervista a cura di Laila Bonazzi, giornalista e appassionata viaggiatrice

     

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