E il futuro, in questo caso, passa proprio da una forma di formaggio d’alpe di tradizione. È solo grazie al cacio se gli alpeggi continuano a vivere, nonostante la difficile vita dei malgari.
Isolato per tutta l’estate, da fine maggio a inizio settembre, il malgaro si prende cura di mandrie di 200-300 mucche, da mungere ogni giorno, mattina e sera.
Insieme alle mucche bisogna poi occuparsi di maiali, polli e galline: chiedono cibo, acqua, cure e attenzioni. Sull’alpe tutti i membri della famiglia devono fare la loro parte: si lavora tutti insieme duramente, dall’alba al tramonto, sette giorni su sette e senza comfort, privi di qualunque distrazione.
Per fare il lavoro del malgaro, artigiano e artista al tempo stesso, occorrono conoscenza ed esperienza, manualità e dedizione: solo così si potrà ottenere un ottimo formaggio.
Gesti sapienti che, ripetuti per 500-600 anni, sono ormai diventati parte di una tradizione. Solo tutelando questa professione si può avere ancora oggi un formaggio dalla qualità e dal gusto ineguagliabili, grazie al latte di alpeggio che è davvero diverso da quello che si può ottenere in valle: un bene culturale che va preservato. Le tradizioni vengono dal passato, ma sono il nostro futuro. Ecco perché in Austria il formaggio d’alpe è stato insignito del marchio g.U (geschützten Ursprung), assimilabile all’italiana Dop (Denominazione di origine protetta).
Un marchio per ricordare che in quel prodotto c’è tutta la magia della terra in cui nasce: lussureggianti pascoli verdi, punteggiati di fiori coloratissimi... e quella autentica immagine da cartolina che abbiamo sognato insieme a voi all’inizio del nostro racconto.